L'Istituto Superiore di Sanità (ISS) e la Federazione Italiana Malattie Rare (UNIAMO) hanno di recente siglato un Accordo di collaborazione scientifica che dà il sigillo dell'ufficialità ad una cooperazione già attiva e fattiva da tempo e che prevede attività di ricerca, formazione e informazione a supporto del cittadino nell’ambito delle Malattie Rare.
L'accordo, della durata di tre anni, contempla la progettazione, la realizzazione e la valutazione di attività nel campo della ricerca scientifica; la formazione di pazienti, familiari e professionisti del settore; iniziative di sensibilizzazione e informazione indirizzate anche a tutta la popolazione, attraverso pagine web e campagne di comunicazione social.
E’ da questo accordo, inoltre, che prende avvio il primo numero di una newsletter a cadenza quindicinale, online sul Portale delle Malattie Rare voluto dal Ministero della Salute, che vuole essere uno spazio, oltre che di informazione per pazienti, medici, operatori sanitari, anche di vera e propria condivisione, dove anche solo un link, una notizia, un contatto possa dare un valore aggiunto alla vita delle persone con malattia rara.
Rischio carenze farmaci nel mirino dell'EDQM, l'European Directorate for the Quality of Medicines &Healthcare del Consiglio d'Europa, con l'obiettivo di garantire la disponibilità di standard di qualità per i medicinali nel contesto della pandemia COVID-19. L'organismo ha pubblicato in questi giorni un elenco di sostanze che dichiara di «monitorate costantemente per evitare qualsiasi interruzione della catena di fornitura»: si tratta di una lista decisamente ampia contenente oltre 200 tra API e forme farmaceuticheche utilizzate sia nelle unità di terapia intensiva che e negli studi clinici.
«Nel contesto della pandemia COVID-19 - si legge nel comunicato che annuncia l'iniziativa - la disponibilità di medicinali di qualità è più importante che mai. Sfortunatamente, dall'inizio della crisi sanitaria, la carenza di farmaci è aumentata in tutto il mondo, in particolare di quelli per trattare o alleviare i sintomi del COVID-19 o utilizzati nelle unità di terapia intensiva (ICU). Inoltre, in tutto il mondo sono in corso numerose sperimentazioni cliniche, utilizzando medicinali autorizzati “riproposti”».
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Foto: Anna Shvets su Pexel
Allarme delle aziende farmaceutiche coinvolte nell’Unità di crisi AIFA: urgente quantificare i fabbisogni di medicinali per affrontare la seconda ondata della pandemia
Quando saranno pronti per la distribuzione i vaccini contro COVID-19? Quanto velocemente i vaccini potrebbero fermare la pandemia? Quali tipi di vaccini COVID-19 vengono sviluppati e come funzioneranno? Come faremo a sapere se i vaccini COVID-19 sono sicuri?.
Si intitola "Covid -19 vaccines: Everything you need to know" l'ultima newsletter dell'OMS che dedica tutta la sua attenzione all'argomento, spiegando nel dettaglio tutti i passaggi per la ricerca e sviluppo dei vaccini, le procedure distributive, i controlli sulla sicurezza dei prodotti.
Focus anche sul COVAX - il meccanismo di approvvigionamento globale condotto da OMS, GAVI (Alleanza globale sui vaccini) e CEPI (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) che punta a sostenere la partecipazione di 92 economie a basso-medio e basso reddito: l'accesso equo ai vaccini COVID-19, indipendentemente dal livello di reddito - sottolinea l'OMS - richiede un investimento urgente di 2 miliardi di dollari, da donatori sovrani, filantropie e settore privato, entro la fine del 2020.
Proteste di piazza e mal di pancia generalizzati non possono offuscare la drammaticità di dati ed evidenze scientifiche: le misure degli ultimi tra DPCM adottati dal Governo per contrastare la seconda ondata della pandemia da Covid-19 sono «insufficienti e tardive» e i valori di RT «sottostimano ampiamente la velocità con cui si dffonde il virus».
La sentenza arriva dalla Fondazione GIMBE, il cui monitoraggio relativo alla settimana 21-27 ottobre, conferma rispetto alla precedente, l’incremento esponenziale nel trend dei nuovi casi (130.329 vs 68.982), in parte per l’aumento dei casi testati (722.570 vs 630.929), ma soprattutto per il netto incremento del rapporto positivi/casi testati (18% vs 10,9%). Crescono di oltre 112.000 i casi attualmente positivi (255.090 vs 142.739) e, sul fronte degli ospedali, si rileva un costante aumento dei pazienti ricoverati con sintomi (13.955 vs 8.454) e in terapia intensiva (1.411 vs 870). Più che raddoppiati i decessi (995 vs 459)..
In dettaglio, sottolinea GIMBE - rispetto alla settimana precedente, si registrano le seguenti variazioni:
«Questi dati – commenta Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – documentano il crollo definitivo dell’argine territoriale del testing & tracing, confermano un incremento di oltre il 60% dei pazienti ricoverati con sintomi e in terapia intensiva e fanno registrare un raddoppio dei decessi. In alcune aree del Paese non è più procrastinabile il lockdown totale per arginare il contagio diffuso e ridurre la pressione sugli ospedali». In generale, i principali indicatori peggiorano in tutte le Regioni, fatta eccezione per il modesto incremento dei casi testati.
«Al di là dei numeri assoluti – spiega il Presidente – preoccupano i trend esponenziali con cui aumentano i pazienti ospedalizzati e in terapia intensiva, con un tempo di raddoppiamento di circa 10 giorni da 3 settimane consecutive». Secondo Enrico Bucci, professore aggiunto SHRO, Temple University «mantenendo questi trend di crescita, all’8 novembre si stimano 31.400 (IC 95%: 30.000-33.000) ricoverati con sintomi e 3.310 (IC 95%: 3.200-3.400) in terapia intensiva; numeri che potrebbero ridursi per l’eccesso di letalità da sovraccarico ospedaliero». Infatti, superando il limite del 30% dei posti letto occupati da pazienti COVID-19, dopo la cancellazione di interventi chirurgici programmati e prestazioni sanitarie differibili, si assisterà inevitabilmente all’incremento della mortalità, non solo COVID-19 correlata.
«Vero è – continua Cartabellotta – che sono state introdotte progressive restrizioni da parte di Governo e Regioni, ma il loro effetto sulla flessione della curva dei contagi sarà minimo, sia perché le misure non sono state “tarate” su modelli predittivi a 2 settimane, sia perché le blande misure dei primi due DPCM sono già state neutralizzate dalla crescita esponenziale della curva epidemica».
L’impatto dell’introduzione di differenti misure di contenimento sul valore di Rt è oggetto di un recente studio - pubblicato su Lancet Infectious Diseases da ricercatori dell’Università di Edimburgo - che ha analizzato dati da 131 Paesi. «In relazione ai risultati ottenuti dall’introduzione di ciascuna misura di contenimento – spiega Renata Gili, responsabile della Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione GIMBE – è stata stimata l’efficacia sul valore di Rt di quattro possibili gruppi di interventi a 7, 14 e 28 giorni. Se da un lato gli effetti dipendono dal numero e dalla tipologia di restrizioni, dall’altro non sono affatto immediati. Infatti, per dimezzare il valore di Rt servono 28 giorni di lockdown totale, tempi che in Italia potrebbero dilatarsi ulteriormente per il ritardo sempre maggiore nella notifica dei casi».
Considerato che le misure introdotte con il DPCM del 24 ottobre includono divieto di eventi pubblici e assembramenti, invito allo smart working e didattica a distanza nelle scuole secondarie di secondo grado per almeno al 75% delle attività - prosegue GIMBE - , è possibile stimare a 14 giorni una riduzione del valore di Rt di circa il 20-25%, totalmente insufficiente per piegare la curva dei contagi e arginare il sovraccarico degli ospedali. «Peraltro – spiega Cartabellotta – l’indice Rt oggi sottostima ampiamente la velocità di diffusione del virus perché, oltre ad essere calcolato solo sui casi sintomatici (circa 1/3 del totale dei contagiati), si basa su dati relativi a due settimane prima e pubblicati dopo circa 10 giorni. In altri termini, le decisioni vengono prese sulla base di un Rt che riflette contagi di circa un mese fa». Secondo quanto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità il 23 ottobre, infatti, l’indice Rt medio di 1,50 (IC 95%: 1,09-1,75) è calcolato al 20 ottobre su dati riferiti al periodo 1-14 ottobre.
«L’epidemia già fuori controllo in diverse aree del Paese da oltre 3 settimane – conclude Cartabellotta – insieme al continuo tentennamento di Sindaci e Presidenti di Regioni nell’attuare lockdown locali stanno spingendo l’Italia verso la chiusura totale. Senza immediate chiusure in tutte le zone più a rischio, serviranno a breve almeno 4 settimane di lockdown nazionale per abbattere la curva dei contagi e permettere di assistere i pazienti in ospedale, al fine di evitare una catastrofe sanitaria peggiore della prima ondata. Perché questa volta, oltre al dilagare dei contagi anche nelle regioni del Sud, meno attrezzate dal punto di vista sanitario, abbiamo davanti quasi 5 mesi di stagione invernale con l’influenza in arrivo».
Monitoraggio GIMBE dell'epidemia di COVID-19
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Foto: Anna Shvets su Pexels
La pandemia ha mostrato la debolezza dei sistemi sanitari nazionali europei. È tempo che l’Unione europea si impegni a proteggere i suoi cittadini, fissando nuovi e più ambiziosi standard in termini di protezione, salute e sicurezza sociale. Un obiettivo che può essere raggiunto realizzando Piani sanitari nazionali che includano le Agenzie nazionali di riferimento per le malattie infettive potenzialmente epidemiche, strettamente connesse in un network europeo.
È l’appello lanciato alle Istituzioni europee, attraverso la prestigiosa rivista Nature, da 15 ricercatori di istituzioni sanitarie, agenzie governative, università e organizzazioni non governative in Italia, Francia, Usa, Germania, Portogallo e Regno Unito.
Tra gli italiani, le firme del direttore generale dell’AIFA, Nicola Magrini, del direttore scientifico dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive ‘Lazzaro Spallanzani’, Giuseppe Ippolito, e del presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli.
Il documento propone che siano affidati alle Agenzie UE, per la risposta (‘preparedness’) all’emergenza Covid-19 e altre epidemie, i compiti di sorveglianza per epidemie, promozione della cooperazione tra le agenzie nazionali e internazionali di salute pubblica, la redazione delle linee guida tecniche e protocolli clinici per la gestione delle malattie, il coordinamento della ricerca, incremento della capacità dei laboratori per individuare precocemente i nuovi patogeni e la creazione di uno staff in grado di implementare test su larga scala, contact tracing e misure di quarantena. Queste attività dovrebbero essere integrate con l’EU BARDA (Biomedical Advanced Research and Development Authority) annunciato dalla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
“Se l’Europa investirà nella salute e nel benessere dei suoi cittadini - si legge ancora nell’appello - sarà in grado di giocare un ruolo fondamentale nei prossimi anni nel proporsi come il più avanzato modello politico a livello mondiale: democrazia, rispetto per i diritti umani e sociali, capacità di integrare la crescita economica con la protezione della salute e del benessere dei suoi cittadini, garantiti dallo Stato attraverso politiche pubbliche di supporto alla salute, all’educazione e alla sicurezza sociale”.
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L’Assemblea Pubblica del comparto equivalenti, biosimilari e VAM avvia una nuova fase: sul tavolo 256 mln di progetti nell’ambito del Recovery Fund per potenziare la produzione di farmaci e principi attivi e un nuovo nome. Assogenerici diventa EGUALIA – Industrie farmaci accessibili.
Serve un mix di «pragmatismo e ambizioni forti» per cogliere una opportunità unica offerta al comparto farmaceutico Ue dalla crisi del Covid-19: quella di ripensare e rafforzare il ruolo dell’Europa come attore globale per la produzione di medicinali. Per realizzare questo obiettivo servono nuovi modelli di gara e di prezzo, bisogna imbracciare l’arma della digitalizzazione e della telematica ed estendere la tutela della «Bolar clause» anche i fornitori terzi di API. Ma soprattutto e necessario continuare a credere nel potere della collaborazione.
A dettare la ricetta per garantire la resilienza della produzione e la fornitura dei medicinali che servono ai pazienti in tutta Europa è stato Christoph Stoller, presidente di Medicines For Europe, intervenuto oggi all’evento “For a healthy Europe”, promosso dall’associazione dei genericisti tedeschi ProGenerika con la presidenza Ue.
«Ora o mai più», ha detto Stoller sottolineando l’importanza del momento storico che fa da scenario all’elaborazione della nuova strategia farmaceutica europea. «Il punto di partenza deve essere la valutazione della realtà produttiva comunitaria - ha sottolineato -. La nostra industria conta oltre 400 siti di produzione e 126 siti di ricerca e sviluppo in Europa dove operano 190mila addetti. L’Europa ha spiegato concentra ancora circa il 35% della produzione mondiale di API (25% India, 33% Cina, 12% USA) e le aziende europee di generici e biosimilari forniscono quasi il 70% dei medicinali dispensati in Europa. Tuttavia vari aspetti della catena di fornitura si sono globalizzati a causa delle sfide di sostenibilità affrontate dal nostro settore: per questo è necessario – come auspicato dall’UE - rafforzare la produzione di medicinali con soluzioni che determineranno una differenza tangibile e sistemica a lungo termine».
Quattro le azioni suggerite da Stoller:
«Se un aspetto positivo è venuto dalla crisi del COVID-19, è stato il potere della collaborazione – ha concluso Stoller -. Di fronte a una crisi urgente, l’industria e i governi hanno saputo collaborare per gestire il rischio e ridurre l’impatto. Questa capacità non deve essere utilizzata soltanto davanti alle crisi ma deve essere messa al servizio della capacità produttiva in Europa».
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L'Europa non ha imparato nulla dallo tsunami Covid-19, visto che davanti al nuovo aumento dei contagi un po' in tutti i Paesi gli stati membri hanno ancora una volta adottato misure diverse e non coordinate.
Il pesante richiamo è contenuto in una risoluzione adottata oggi dal Parlamento europeo con 595 voti a favore, 50 contro e 41 astensioni in cui si sottolinea la mancanza di una metodologia armonizzata per raccogliere e valutare il numero di persone infette, mancanza che porta a valutazioni diverse sul rischio sanitario e a restrizioni della libera circolazione per le persone che provengono da altri paesi dell'UE.
Queste le raccomandazioni il Parlamento UE rivolge ai Paesi membri:
• adottare la stessa definizione per casi positivi, decessi e recupero dall'infezione di COVID-19;
• riconoscere reciprocamente i risultati dei test in tutti gli Stati membri;
• ridurre i tempi di attesa sproporzionati per i test;
• stabilire un periodo di quarantena comune;
• coordinare le restrizioni di viaggio quando necessarie, in linea con la proposta della Commissione;
• discutere su come tornare il più rapidamente possibile a uno spazio Schengen senza controlli alle frontiere interne e piani di emergenza.
Secondo i parlamentari europei, inoltre, Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) dovrebbe essere incaricato a valutare il rischio di diffusione del virus e pubblicare una mappa dei rischi aggiornata settimanalmente in base ai dati forniti dagli Stati membri e andrebbe incoraggiato l'uso di applicazioni di tracciabilità, rel rispetto del Regolamento sulla privacy, rendendo entro ottobre interoperabili i sistemi nazionali, per consentire la localizzazione COVID-19 a livello europeo.
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Foto: Guillaume Meurice su Pexels
AIFA smorza l'allarme su presunte indisponibilità del vaccino antinfluenzale: "Con oltre 17 milioni di dosi disponibili - si legge in un comunicato diffuso in serata dall'Agenzia - la copertura vaccinale contro l’influenza risponde ampiamente al fabbisogno della popolazione italiana, rispettando le nuove raccomandazioni del Ministero della Salute. Un dato rassicurante, considerato che nel 2019, sono state distribuite 12,5 milioni di dosi coprendo il 53-54% della popolazione".
Nella nota oltre alla sottolineatura del consistente aumento della disponibilità del vaccino anche la conferma della partnership già avviata con le aziende nei mesi più bui della pandemia da Covid-19, rafforzata attraverso la formazione di una task force per monitorare costantemente la situazione degli approvvigionamenti e della distribuzione.
«AIFA - ha affermato il Direttore Generale Nicola Magrini - sta lavorando anche per prevenire ogni possibile criticità legata sia all’approvvigionamento che alla distribuzione del vaccino antinfluenzale, potendo contare sulla collaborazione concreta di Farmindustria, Assogenerici e dei loro associati, ribadita oggi in un incontro nella sede dell’Agenzia del Farmaco».
"Assicurare gli approvvigionamenti nell'interesse del paziente, garantire l'accesso ai trattamenti medici per tutti i pazienti dell'UE e ripristinare l'indipendenza sanitaria europea". È questo il diktat contenuto nella risoluzione approvata oggi dal Parlamento Europeo sulla "penuria di medicinali" che prende le mosse dal Rapporto approvato a metà luglio dalla commissione del Parlamento europeo per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI). Nel mirino dei parlamentari europei le cause profonde del fenomeno ricorrente delle carenze di medicinali notoriamente aggravato dalla crisi sanitaria determinata dalla pandemia di Covid-19.
"La carenza di medicinali è una grave minaccia per il diritto alle cure mediche essenziali per i pazienti nell'UE, in quanto provoca disuguaglianze tra i pazienti in base al paese di residenza e può creare perturbazioni del mercato unico" sottolinea la risoluzione riaccendendo i riflettori sulla necessità di riportare ripristinata la disponibilità e accessibilità dei farmaci riportandone la produzione in Europa.
"A causa della delocalizzazione della produzione - si legge nel documento - il 40 % dei medicinali finiti commercializzati nell'Unione proviene da paesi terzi, il che si traduce in una perdita di indipendenza dell'Europa sul piano sanitario. Sebbene l'Europa abbia una solida impronta produttiva, la catena di approvvigionamento fa ricorso massiccio a subappaltatori all'esterno dell'UE per la produzione delle materie prime in considerazione del costo del lavoro inferiore e della presenza di norme ambientali meno rigorose, facendo sì che dal 60 all'80 % dei principi attivi dei medicinali venga fabbricato al di fuori dell'Unione, segnatamente in Cina e in India. Trenta anni fa questa percentuale era pari al 20 % - prosegue la risoluzione - e oggi questi due paesi producono il 60 % del paracetamolo, il 90 % della penicillina e il 50 % dell'ibuprofene di tutto il mondo".
Tra le sottolineature anche il fatto che ad oggi "non è richiesta alcuna etichetta o etichettatura visibile ai pazienti/clienti per i medicinali e i principi attivi relativamente alla loro origine e al paese di fabbricazione"; che "l'accesso limitato ai principi attivi necessari per la produzione di medicinali generici pone una sfida particolare"; che "la perturbazione della catena di approvvigionamento globale derivante dalla pandemia di COVID-19 ha messo ancor più in risalto la dipendenza dell'UE dai paesi terzi nel settore della sanità"; che la nuova pandemia di coronavirus ha messo in luce anche "carenze di dispositivi medici, prodotti medici e dispositivi di protezione".
Di qui il pressante invito alla Commissione UE ad "adottare rapidamente le misure necessarie per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento dei prodotti sanitari, ridurre la dipendenza dell'UE nei confronti dei paesi terzi e sostenere la produzione farmaceutica locale per i medicinali di forte interesse terapeutico, dando priorità ai medicinali di interesse sanitario e strategico in stretta cooperazione con gli Stati membri". Quella suggerita a Commissione e Paesi mebri è una strategia difensiva in piena regola: "elaborare una mappatura dei siti di produzione dell'UE nei paesi terzi e una mappatura in evoluzione, da utilizzare come riferimento, dei siti di produzione esistenti e potenziali nell'UE, per poter sostenere, modernizzare e rafforzare le loro capacità, laddove è necessario, possibile e praticabile".
In attesa della bacchetta magica per l'inversione di rotta suggerita, ancora un appello all'adozione di un lingaggio comune: la risoluzione insiste sull'importanza di una definizione armonizzata a livello UE di "carenze", "tensioni", "interruzioni della fornitura", "esaurimento delle scorte" e "costituzione di scorte eccessive" e l'invito alla Commissione a garantire che la propria strategia per il settore farmaceutico sia effettivamente volta a "contrastare le pratiche commerciali inammissibili in qualunque fase del circuito dei medicinali che potrebbero pregiudicare la trasparenza e le relazioni equilibrate tra i vari enti pubblici e privati, direttamente o indirettamente coinvolti nell'espletamento del servizio pubblico essenziale di garantire l'accesso ai medicinali". Riflettori accesi anche sul differenziale dei prezzi tra Stati membri che "favorisce le esportazioni parallele verso i paesi nei quali i medicinali sono venduti a un prezzo maggiore".
Prima mission per la politica di settore europe: "rafforzare il mercato europeo dei medicinali al fine di accelerare l'accesso dei pazienti ai medicinali, rendere l'assistenza sanitaria economicamente più accessibile, ottimizzare il risparmio nei bilanci dei sistemi sanitari nazionali ed evitare oneri amministrativi alle aziende farmaceutiche".
Focus immediato anche su generici e biosimilari: "consentono di rafforzare la concorrenza, ridurre i prezzi e realizzare risparmi a vantaggio dei sistemi sanitari, contribuendo così a migliorare l'accesso dei pazienti ai medicinali" sottolinea la risoluzione, che invita ad "analizzare il valore aggiunto e l'impatto economico dei medicinali biosimilari" valutando anche "misure atte a sostenere la loro introduzione sul mercato" e sollecita la Commissione a stroncare le controversie tese a ritardare l'ingresso sul mercato dei medicinali generici garantendo "il rispetto della fine del periodo di esclusiva commerciale dell'innovatore".
Uno studio internazionale cui partecipa l’Istituto di nanotecnologia del Cnr ha scoperto che la quercetina - una molecola di origine naturale - funge da inibitore specifico per il virus responsabile del Covid-19. Lo studio ha dimostrato che la molecola funziona da inibitore specifico per SARS-CoV-2 avendo un effetto destabilizzante su 3CLpro, una delle principali proteine del virus, fondamentale per il suo sviluppo e il cui blocco dell’attività enzimatica risulta letale per SARS-CoV-2.
Il risultato è frutto del lavoro di ricerca condotto da Bruno Rizzuti dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Cosenza con un gruppo di ricercatori di Zaragoza e Madrid ed è stato pubblicato sulla rivista International journal of biological macromolecules.
“Le simulazioni al calcolatore hanno dimostrato che la quercetina si lega esattamente nel sito attivo della proteina 3CLpro, impedendole di svolgere correttamente la sua funzione”, afferma Rizzuti, autore della parte computazionale dello studio. “Già al momento questa molecola è alla pari dei migliori antivirali a disposizione contro il coronavirus, nessuno dei quali è tuttavia approvato come farmaco. La quercetina ha una serie di proprietà originali e interessanti dal punto di vista farmacologico: è presente in abbondanza in vegetali comuni come capperi, cipolla rossa e radicchio ed è nota per le sue proprietà anti-ossidanti, anti-infiammatorie, anti-allergiche, anti-proliferative. Sono note anche le sue proprietà farmacocinetiche ed è ottimamente tollerata dall’uomo”.
Inoltre la quercetina può essere facilmente modificata per sviluppare una molecola di sintesi ancora più potente, grazie alle piccole dimensioni e ai particolari gruppi funzionali presenti nella sua struttura chimica. Poiché non può essere brevettata, chiunque può usarla come punto di partenza per nuove ricerche.
“Lo studio parte da una caratterizzazione sperimentale di 3CLpro, la proteasi principale di SARS-CoV-2”, precisa Olga Abian, dell’Università di Zaragoza e prima autrice della pubblicazione: “Questa proteina ha una struttura dimerica, formata da due sub-unità identiche, dotate ciascuna di un sito attivo fondamentale per la sua attività biologica. In una prima fase del lavoro è stata studiata, con varie tecniche sperimentali, la sensibilità a varie condizioni di temperatura e pH: un risultato importante perché molti gruppi stanno lavorando su 3CLpro come possibile bersaglio farmacologico, in virtù del fatto che è fortemente conservata in tutti i tipi di coronavirus. Per questa proteina sono già segnalate in letteratura molecole che fungono da inibitori, ma non utilizzabili come farmaci a causa dei loro effetti collaterali”.
“La parte più interessante di questo lavoro è lo screening sperimentale eseguito su 150 composti, grazie a cui la quercetina è stata individuata come molecola attiva su 3CLpro”, conclude Adrian Velazquez-Campoy dell’Università di Zaragoza, che ha diretto il gruppo di ricerca e ha già lavorato alla ricerca di farmaci inibitori della proteina per il virus SARS originario che causò l’epidemia del 2003. “La quercetina riduce l’attività enzimatica di 3CLpro grazie al suo effetto destabilizzante sulla proteina. Ovviamente contiamo si trovi un vaccino, ma i farmaci saranno comunque necessari per le persone già infette e per chi non può essere sottoposto a vaccinazione. La ricerca di nuove molecole mira quindi a somministrare una combinazione di differenti composti, per minimizzare la resistenza ai farmaci e lo sviluppo di nuovi ceppi virali”. Lo studio è stato supportato dalla Fundación hna.
Cittadinanzattiva si schiera al fianco della FnomCeO sollecitando la proroga dei piani terapetici fino al termine dello stato d'emergenza. A chiederlo in una nota diffusa oggi Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva,che sollecita anche l'apertura di un tavolo per ridefinirne modello e procedure: "Bisogna trovare nuove modalità di gestione - afferma - semplificando la parte burocratica e concentrandosi sulla raccolta dei dati necessari per la parte terapeutica che è il motivo per cui vennero concepiti come strumento ormai molti anni fa".
Sulla stessa lunghezza d'onda l'appello rivolto ieri da al ministro della Salute e all'AIFA dal presidente della Federazione degli ordini dei medici Filippo Anelli: "L’emergenza è tutt’altro che conclusa - aveva detto - e i contagi appaiono in risalita. Tutti gli sforzi quindi vanno ora concentrati sul contenimento dei focolai in vista della riapertura delle scuole". Le precedenti proroghe - ha proseguito Anelli - hanno già dimostrato che "i medici di medicina generale possono farsi carico della prescrizione dei farmaci e della gestione dei pazienti, e come i rinnovi periodici così ravvicinati non siano che un aggravio burocratico, volto più al controllo della spesa che a quello della terapia". "La pandemia - aveva concluso - ha dimostrato che una burocrazia più snella non solo è possibile, ma giova ai pazienti, ai professionisti e ai sistemi sanitari".
Parola d'ordine comune fare tesoro della lezione impartita da covid: "È assolutamente irricevibile, e lo abbiamo detto molte volte la posizione di chi anche in questo caso dice 'torniamo appena possibile a come stavamo prima del Covid' semplicemente perché già prima dell'emergenza le cose non andavano bene per molte persone nel servizio sanitario e tra queste ad esempio molti malati cronici", ribadisce Gaudioso. "Il ministro Speranza è attento e sensibile a questi temi - conclude -. Crediamo sia arrivato il momento di realizzare un tavolo tra ministero della Salute, Aifa, medici e organizzazioni civiche e di pazienti per ripensare insieme dei modelli che funzionino dal punto di vista dei cittadini, di chi gestisce il percorso di cura e delle istituzioni. Bisogna fare un passo in avanti: le cose si possono fare meglio, ci sono tutte le condizioni per farlo”.
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Foto: Darko Stojanovi, Pixabay
«Non possiamo che essere soddisfatti per questo primo incontro con il quale si è insediato oggi il tavolo permanente per la medicina generale voluto dal ministro Roberto Speranza». Silvestro Scotti, segretario generale FIMMG, commenta così l’avvio di un percorso fattivo che punta ad affrontare i temi caldi per la medicina generale sulla riorganizzazione del Servizio sanitario nazionale non solo alla luce della crisi pandemica, ma anche nell’ottica di una stabilizzazione del Servizio sulla base di quelle che saranno le sfide future della cronicità e dell’invecchiamento della popolazione, oltre che di eventuali altre emergenze sanitarie e non, che vanno sempre gestite in prevenzione e con piani operativi pronti e immediatamente attuabili.
Alla presenza di FIMMG e degli altri sindacati della medicina generale, si è discusso oggi di quelli che senza alcun dubbio sono i nodi centrali da sciogliere per garantire un’assistenza sanitaria efficace e produttiva. «Anche se i punti sui quali lavorare sono molti - ricorda Silvestro Scotti - FIMMG ha ben chiare le priorità. Bisogna definire i protocolli operativi da attuare in eventuali nuove fasi di emergenza e che saranno utili anche in futuro per altre eventuali crisi, incasellando queste procedure in fattispecie previste in maniera chiara e stabile nell’Accordo collettivo nazionale». Altro nodo sul quale si sta lavorando, ricorda il segretario generale FIMMG, è quello del ruolo della medicina convenzionata nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. «Un ruolo centrale, perché la convenzione è uno strumento che se usato bene offre risultati anche migliori di altre forme contrattuali, soprattutto sul territorio che ha bisogno della capacità di iniziativa e dell’adattamento del libero professionista convenzionato ben più delle gerarchie di processi che rispondono ad ordini di servizio».
In questo contesto è risultato ancora una volta fondamentale l’intervento del ministro Speranza, che nella sua pragmaticità ha saputo ampliare la discussione del tavolo alla possibilità di uno sviluppo della medicina convenzionata grazie all’impiego dei fondi del Recovery Found o del Mes. «Questi fondi - dice Scotti - non possono non tenere conto delle esigenze del territorio nell’ottica di una possibile recrudescenza della pandemia, ma serviranno anche e soprattutto ad ampliare le capacità di risposta e le offerte di prossimità: da una sanità digitale che veda il medico di famiglia come figura centrale, vicino al cittadino e pronto ad offrire risposte concrete anche nelle situazioni più complesse e alla strutturazione di micro team multiprofessionali che sostengano tali offerte e distribuiscano i carichi di lavoro producendo economia di scala sul secondo livello assistenziale così riuscendo da questo investimento anche a recuperare risorse».
Tra i temi affrontati anche quello della formazione in medicina generale, troppo spesso gestita attraverso sanatorie o riformulazione di titoli per l’accesso ad un'area che merita invece di essere riconosciuta sua nel percorso pre laurea che nel post laurea come disciplina a se stante, con una sua dignità specifica e non surrogabile. Non a caso è stato proprio il ministro Speranza, in occasione dell’apertura del tavolo, a sottolineare l’impegno dei medici di medicina generale anche nella fase più dura del lockdown.
«Un riconoscimento importante - ribadisce Scotti - da parte del ministro che, del resto, ha dimostrato nei fatti di essere vicino ai medici di famiglia anche nelle fasi più calde della pandemia . È grazie al ministro Speranza se oggi esiste una legge che impone alle Regioni e alle aziende di fornire dispositivi di protezione individuali anche ai medici convenzionati. Suo l’impegno di riconoscere ai medici di famiglia gli arretrati e gli adeguamenti contrattuali in conformità con il periodo di emergenza».
In questo contesto è anche stata ribadita la disponibilità di FIMMG e Intesa sindacale di mettersi al servizio del Paese come espressamente richiesto dal Ministro per la riapertura delle scuole e per i test sierologici al personale docente e non della scuola, una disponibilità che non appare ridotta alla luce di polemiche strumentali apparse in questi giorni sui giornali. «Non ha alcun senso né fondamento scientifico - conclude Scotti - affermare che i nostri studi non sono sicuri per questa attività che non richiede alcuna protezione in più di quelle che oggi vanno previste per il semplice accesso di qualunque paziente (DPI, guanti e camici monouso). Così come incomprensibile appare la polemica sulla validità dei test confondendo uno screening di massa con esami più specificamente diagnostici, che nel progetto saranno comunque previsti per la parte che sarà individuata come positiva. FIMMG c’è e continuerà ad esserci per garantire ai cittadini la migliore assistenza possibile di una medicina generale pubblica nel suo senso di appartenenza al SSN, ancor più in un momento di grande difficoltà per il Paese. Vogliamo ringraziare anche il commissario Arcuri che ha dimostrato grande sensibilità nel colloquiare con una medicina generale disponibile a mettersi al servizio del Paese anche nell’ottica della riapertura delle scuole, mostrando rispetto per delle figure professionali in maniera maggiore di quanto stanno dimostrando alcuni rappresentanti verso le istituzioni».
In questi mesi l’emergenza Covid–19 ha assorbito gran parte delle risorse sanitarie del Paese, comprese quelle dei medici di Medicina Generale, che hanno comunque garantito ininterrottamente la totale disponibilità nei confronti degli assistiti, lavorando senza orario e con reperibilità garantita a distanza. Ora però è tempo di progettare e investire subito nel potenziamento dell’attività di presa in carico dei pazienti nel territorio, anche in assistenza domiciliare, garantendo il ritorno in sicurezza dei cittadini negli studi dei medici di Medicina Generale per una ripresa delle ordinarie attività di assistenza e per un recupero dell’irrinunciabile rapporto medico–paziente.
È questo l’appello lanciato oggi da Assogenerici, Cittadinanzattiva, Fimmg e Simg nel corso di un webinar che ha acceso i riflettori sul bisogno di un ritorno alla normalità dell’assistenza territoriale che nel nostro Paese offre ogni giorno risposte di salute concrete a oltre 2 milioni di cittadini.
«L’affanno vissuto in questi mesi dal SSN ha reso tangibile ed evidente l’urgenza di investire di più sul territorio, sulle cure primarie e soprattutto sulla medicina generale, dotandola delle risorse umane e tecnologiche necessarie – spiega Silvestro Scotti, segretario nazionale Fimmg). – L’ultima legge di Bilancio ha stanziato 235 milioni di euro, per l’acquisto di strumenti di piccola diagnostica ad uso della medicina generale: fondi ripartiti ma ancora non utilizzati da parte delle Regioni. È necessario accelerare l’acquisizione da parte dei MMG degli strumenti afferenti alla diagnostica di primo livello (es. ECG, Holter, Ecografia generalista, Spirometria) ed è necessario arricchire il loro armamentario di tutti i farmaci necessari a far fronte alla crescente domanda di salute, in particolare per la presa in carico del paziente cronico. Senza dimenticare che vi sono ancora 20mila persone in isolamento domiciliare in tutto il Paese che hanno il diritto di trovare risposte costanti e adeguate da parte del proprio medico di famiglia. Urgenze ed esigenze che dovranno trovare risposte puntuali nella revisione della Convenzione capace di privilegiare gli obiettivi di salute programmati, misurabili e condivisi con i manager pubblici».
«Il primo vero banco di prova per gli studi dei MMG sarà a inizio settembre, con avvio anticipato delle procedure per la vaccinazione antinfluenzale estesa – commenta Claudio Cricelli, presidente della SIMG. – In quest’ottica sarà essenziale il ruolo dei protocolli diffusi dalle organizzazioni della medicina generale a supporto dei professionisti sanitari, ma è anche indispensabile mettere a frutto e valorizzare tutti i servizi innovativi potenzialmente già disponibili, come telemedicina e ricetta dematerializzata – perché diventino patrimonio permanente della medicina del territorio. Non servono a sostituire il consulto o la visita di persona bensì, ad esempio, a garantire al malato cronico la continuità assistenziale di cui ha bisogno, recuperando la qualità del tempo dedicato al contatto diretto con il paziente. Allo stesso modo va data qualità al tempo dedicato all’informazione scientifica sul farmaco che dovrà contare su regole adeguate per la ripresa e dovrà soprattutto essere valorizzata anche nell’ambito dele percorso di aggiornamento continuo previsto per la professione medica».
«I farmaci fuori brevetto offrono una concreta risposta terapeutica alle patologie croniche più diffuse nella popolazione. Ma i farmaci fuori brevetto sono stati lo strumento indispensabile per la gestione dei pazienti durante i mesi più bui dell’emergenza Covid–19, sia all’interno degli ospedali che nel territorio – afferma Enrique Häusermann, presidente Assogenerici . – Questa esperienza ha dimostrato ancora una volta che è necessario un ripensamento profondo della dinamiche di governo dei farmaci a partire dalla riforma della governance che deve prevedere al più presto la revisione dei tetti di spesa, dei meccanismi di prezzo e rimborso e soprattutto delle forme di distribuzione di diverse categorie di farmaci fuori brevetto, puntando a riportare nell’armamentario del MMG e nella rete territoriale delle farmacie tutti i prodotti che ne sono stati finora artificiosamente esclusi. È stato fatto un importante passo avanti pochi giorni, fa estendendo ai MMG la possibilità di prescrivere i nuovi anticoagulanti orali per la fibrillazione atriale non valvolare. Ora bisogna andare avanti ugli anti-diabetici e i prodotti per la BPCO, garantendo il più ampio e facile accesso alle cure per tanti malati».
Ricette condivise anche da Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva: «Sappiamo tutti che in questi anni il Servizio Sanitario Nazionale è stato colpito da tagli, disinvestimenti, mancanza di programmazione: sono stati chiusi ospedali e tagliati posti letto ma ci si è dimenticati di dotare il territorio degli strumenti che gli erano stati promessi. Per questo è indispensabile ripartire da queste carenze, ormai cronicizzate, puntando a potenziare e qualificare la medicina di territorio e le prestazioni della Medicina Generale, valorizzando in particolar modo soprattutto l’obiettivo di garantire una gestione pianificata e omogenea dell’assistenza ai pazienti cronici in tutto il territorio nazionale. Il medico di famiglia è un presidio fondamentale del SSN, e il suo ruolo va ripensato rendendo davvero centrale il rapporto privilegiato che ha con i cittadini, favorendo una sanità davvero di prossimità e territoriale».
Il messaggio del ministro della Salute Roberto Speranza
Il gain sharing come pietra filosofale per il cantiere della Governance, per tracciare e valorizzare le risorse disponibili da reinvestire nel SSN a vantaggio del pazienti.
Il territorio come la rampa di lancio dei nuovi modelli per la presa in carico dei pazienti cronici.
Una nuova politica industriale che garantisca sostenibilità al comparto pharma, assicurando a tutte le sue componenti regole chiare, certe e semplificate e ridia maggiore autonomia e capacità di reazione all’industria del farmaco nel nostro paese e nell’Europa intera.
Sono questi i principali ingredienti contenuti nel “Manifesto per la ripartenza” che Assogenerici ha inviato oggi ai ministri della Salute, Roberto Speranza, dell’Economia, Roberto Gualtieri, dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli.
«Il nostro comparto ha giocato un ruolo cruciale nei mesi della pandemia da COVID–19, rispondendo con tempestività alle richieste di approvvigionamento provenienti da tutta Italia (il 70% dei farmaci utilizzati per la gestone dei pazienti nelle terapie intensive è generico) – spiega il presidente Enrique Häusermann . – Ora bisogna fare tesoro dell’esperienza vissuta nel periodo emergenziale per immaginare un nuovo modello sanità territoriale e vere strategie industriali pubbliche in grado di garantire sostenibilità a tutto il comparto, neutralizzando definitivamente lo spettro ricorrente delle carenze di fornitura».
Primo “bersaglio” la riforma complessiva della Governance, da anni nell’agenda del Governo. Il focus è sulla revisione dei tetti di spesa, la scelta dei canali di distribuzione, i meccanismi di prezzo e rimborso. Ricetta raccomandata: l’azione a lume di gain sharing, escludendo i prodotti off patent – già a rischio sostenibilità – da una revisione “economica” del Prontuario; valorizzando il meccanismo concorrenziale di generici e biosimilari e reinvestendo nella farmaceutica le risorse che si liberano per garantire maggiore accesso; reindirizzando sulla convenzionata tutte le categorie di off patent impropriamente dirottate sulla diretta/DPC.
Tre gli obiettivi a corollario.
Trasformare la cooperazione emergenziale sperimentata nei mesi dell’epidemia in routine gestionale, puntando sulla dematerializzazione e semplificazione di tutti i processi burocratici, garantendo certezza dei tempi e velocità di esecuzione dei procedimenti autorizzativi.
Garantire lo sviluppo del settore dei farmaci off patent e in particolare delle Value Added Medicines, farmaci a brevetto scaduto modificati o combinati in grado di migliorare la risposta ai bisogni di salute.
Sostenere lo sviluppo dei servizi garantiti dalla rete della medicina territoriale e i legami con la rete delle farmacie aperte al pubblico, sviluppando anche tutte le attività in remoto connesse a diagnosi, prescrizione e dispensazione della terapia farmacologica.
Secondo grande “bersaglio”, le politiche di acquisto pubbliche, attraverso la revisione dei meccanismi di gara, in particolare per le forniture ospedaliere, che attualmente rischiano di determinare la fuoriuscita di molte PMI, aprendo la strada a un dannoso “monopolismo di ritorno”.
Due gli obiettivi in quest’ambito: transitare dal criterio del prezzo minimo a quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, definendo quantità minime e massime per ogni lotto; garantire uno snellimento delle procedure di gara attraverso il sostegno alle gare multi–aggiudicatarie e la totale digitalizzazione dell’iter, per ridurre i costi e velocizzare le risposte.
Terzo campo d’azione individuato dal manifesto Assogenerici, l’avvento di una politica industriale farmaceutica in ambito europeo che abbia come obiettivo cruciale - oltreché la flessibilità regolatoria, la dematerializzazione dei processi amministrativi - il rafforzamento del comparto e la creazione di nuovi insediamenti produttivi della catena manifatturiera dei medicinali, con l’obiettivo di rendere l’industria europea del farmaco più competitiva rispetto agli altri mercati e agli altri grandi hub produttivi extra-europei.
«Quello della “resilienza” del comparto farmaceutico è un cantiere già efficacemente avviato dalle aziende europee nei mesi della pandemia ed è una attività che sta proseguendo anche oggi, nella ricerca di un costante dialogo con le Autorità regolatorie e con la Commissione Ue – conclude Hausermann. – Una politica industriale efficace dovrebbe svilupparsi su queste tre direttrici: salvaguardare e incrementare la produzione europea; assicurare un sistema regolatorio reattivo ed efficiente; pianificare un modello di prezzi, rimborso e meccanismi di gara più sostenibili nel tempo. È interesse di tutti i Paesi dell’Unione individuare meccanismi capaci di stimolare gli investimenti nella produzione di medicinali in Europa e di incentivare gli investimenti in R&S, attraverso la definizione di obiettivi chiari e di politiche di accesso eque».
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Le aziende devono rimboccarsi le maniche per produrre e accantonare entro l’autunno i farmaci necessari per contrastare la potenziale seconda ondata di COVID-19. E i Governi «dovrebbero usare i mesi estivi per garantirsi il rifornimento di medicinali per le terapie intensive e per sviluppare una strategia sostenibile per la preparazione alle crisi».
Questo il consiglio di Medicines for Europe ed Efpia - che rappresentano la totalità delle farmaceutiche europee - in uno statement congiunto in cui sollecitano una collaborazione diretta con i governi nazionali, tramite un gruppo di lavoro misto con le aziende produttrici, per pianificare congiuntamente una potenziale seconda ondata COVID-19.
«Le carenze in Europa durante i mesi estivi sono meno probabili – scrivono – tuttavia, in caso di una seconda ondata in autunno, ci sono rischi di approvvigionamento per l'Europa, soprattutto nei farmaci bloccanti neuromuscolari (miorilasanti e curarosimili, indispensabili per l'intubazione tracheale in chirurgia e in terapia intensiva per favorire la ventilazione controllata, ndr)».
Con la prima ondata di COVID-19 quasi alle spalle, permane quindi un rischio di approvvigionamento sul quale serve agire subito, programmando la produzione e le procedure di acquisto. Poiché le misure restrittive ed i blocchi alla circolazione vengono lentamente revocati, nessun vaccino è ancora disponibile e l'immunità di gregge è limitata, una seconda ondata di COVID-19 è un rischio per cui i Paesi dovrebbero prepararsi. Ulteriori fattori, come la domanda di medicinali provenienti da focolai attivi di COVID-19 al di fuori dell'Europa o il riavvio della chirurgia elettiva, hanno intaccato profondamente le scorte di sicurezza che sono state assorbite durante la prima ondata e mettono ulteriormente a dura prova l'industria.
Previsioni basate su una analisi realizzata dalla società internazionale di consulenza Kearney in cui si analizzano tre scenari a gravità crescente e si confrontano i relativi dati con i piani di fornitura/ produzione dell’industria farmaceutica europea, sottolineando peraltro che attualmente non si evidenziano gravi carenze di API o intermedi di sintesi essenziali alla produzione.
Gli scenari della seconda ondata pandemica
L’analisi muove da 5 punti chiave: nessun Paese ha acquisito l’immunità di gregge nella prima ondata della pandemia; ciascun Paese risponderà alla seconda ondata analogamente a come ha risposto alla prima; allo stesso modo lo sviluppo della seconda ondata sarà simile alla prima; solo i casi che approdano in terapia intensiva determinano la domanda dei medicinali “critici”; il numero di morti giornaliere diminuisce circa 28 giorni dall’inizio di eventuale misure di lockdown.
Stando ai tre scenari tracciati da Kearney, a valere sui dati di mortalità da Covid-19 al 21 maggio, nella migliore delle ipotesi la seconda ondata di pandemia genererebbe oltre 33mila nuovi decessi; nella peggiore quasi 100mila. E la situazione più complessa potrebbe essere quella del Regno Unito, Italia, Francia, Olanda, Svezia e Belgio. E per di più il tutto a bocce ferme, ovvero senza poter considerare nelle proiezioni il fattore turismo, destinato comunque a incidere in qualche modo sull’eventuale ripresa dei contagi. Nel frattempo – segnala ancora Kearney - «Solo pochi produttori segnalano problemi sul rifornimento di principi attivi - in particolare bloccanti neuromuscolari e sedativi – per la capacità del fornitore a breve termine e per l’uso proprio da parte del produttore stesso».
Stando così le cose – è la conclusione - «Le aziende hanno bisogno di richieste chiare da parte degli Stati membri per prepararsi adeguatamente». Ovvero per mantenere accesi i motori degli stabilimenti nel periodo estivo e far scorta di quanto potrebbe servire in autunno.
Peccato che la richiesta avanzata nei mesi scorsi dalle aziende di avviare un dialogo costruttivo con l’UE per l’adozione di regole trasparenti e flessibili in merito alle forniture finisca ora per scontrarsi con la joint procurement initiative SANTE / 2020 / C3 / 29 (procedura di gara europea congiunta tra più Stati Membri) per la fornitura di medicinali usati per pazienti in terapia intensiva soggetti alla nuova malattia del coronavirus/ COVID-19): la procedura - contemplata dalla normativa comunitaria - è la stesso scelta in marzo per garantire l’approvvigionamento di dispositivi di protezione e ventilatori per gli Stati UE. Il bando in questione non è mai stato pubblicato: è stata mandata una lettera d’invito ad un panel selezionato di aziende, attraverso l’elenco dei responsabili europei di farmacovigilanza delle diverse realtà farmaceutiche attive nell’UE.
La gara “zoppa” dell’Unione
Modello e modalità “sottotraccia” non hanno mancato di irritare le aziende.
Reprimende e doglianze nella lettera inviata ieri da Medicines for Europe alla Commissione Europea e ai ministri della Salute dei singoli Paesi coinvolti nell’iiziativa: «La normativa sugli appalti congiunti non è stata progettata per farmaci fuori brevetto che presentano più titolari AIC e che vengono commercializzati attraverso licenze e presentazioni specificatamente nazionali – sottolinea il messaggio. Inoltre, non riusciamo a vedere i vantaggi di un processo così complesso che potrebbe comportare un’ulteriore concentrazione nel tempo dei fornitori sul mercato poiché il processo scarica tutti i rischi finanziari sui produttori, nonché determinare una forte disequilibrio nei processi di fornitura in atto (o che saranno avviati) per rispondere alle procedura di gara nazionali sui medesimi medicinai».
Massima delusione, poi, per la totale assenza di trasparenza della procedura: «Non vediamo assolutamente alcuna giustificazione per questo approccio opaco dato l'alto livello di concorrenza sui prezzi nel mercato off patent e l'alto grado di complessità tecnica di questa iniziativa - scrivono le aziende. – Abbiamo avvertito che il meccanismo di acquisto congiunto non avrebbe corretto la necessità per i Governi di pianificare la pandemia con riserve di sicurezza sui farmaci».
«Le aziende europee si erano augurate un dialogo tecnico trasparente tra produttori e l’UE per affrontare questioni quali licenze nazionali, licenze di importazione / esportazione di stupefacenti, obblighi di fornitura e così via. L’obiettivo era quello di mantenere, in relazione alla pandemia, la flessibilità necessaria per spostare rapidamente i medicinali tra i Paesi in base alle esigenze dei pazienti. E il modello di collaborazione instaurato in Italia con AIFA», commenta il presidente Assogenerici, Enrique Häusermann.
«L'assenza di impegni sui volumi che questa procedura europea presenta, non consente alle aziende di programmare le proprie capacità produttive ed entra in conflitto con le procedure d gara nazionali; non è chiaro, infatti, se e come l’offerta congiunta modifichi i preesistenti contratti di fornitura con i singoli Paesi, che le aziende sarebbero comunque tenute ad onorare; non ci sono risposte sulle licenze di esportazione/ importazione degli stupefacenti. Addirittura non si specifica il punto di consegna dei prodotti, un fattore che influisce direttamente sui costi per il produttore - conclude Häusermann. - In questo modo si stressa inutilmente il comparto produttivo e lo si paralizza: rischiamo solo di accumulare scorte per evadere ordini che potrebbero non essere mai effettuati. Nessuna azienda può permetterselo. Aggiungo infine: ci risulta che l’Italia sia tra i paesi aderenti all’iniziativa… Se così fosse ci rammarica il fatto che non vi sia stato nessun contatto con le organizzazioni industriali, quantomeno esplorativo e interlocutorio rispetto alla programmazione delle esigenze. Rimaniamo disponibili al dialogo, ma non condividiamo il processo».
«Una data importante, che segna la fine di un’anomalia anacronistica tutta italiana».
Il segretario nazionale della Fimmg, Silvestro Scotti, saluta così, in una nota, la pubblicazione nella GU del 17 giugno 2020 della determina dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) di adozione della Nota 97 che estende la prescrizione dei “nuovi anticoagulanti orali” per la fibrillazione atriale non valvolare (FANV) anche al medico di medicina generale, riconoscendone la competenza professionale e inserendo nel percorso decisionale gli aspetti di conoscenza diretta del paziente, per una accurata personalizzazione della terapia, garantendo al cittadino una maggiore tutela della salute ma anche facilitando l’accesso alle cure.
«Impedire che i medici di famiglia vengano privati non solo della possibilità di prescrivere i farmaci di nuova generazione ma anche di esserne informati, solo ai fini di controlli economici, impoverisce il sistema sanitario nazionale di efficacia e appropriatezza, costringendo in vortici burocratici i cittadini che necessitano di queste cure - sottolinea Scotti. - Questo è un primo passo, al quale ne devono seguire presto altri. Già nei prossimi mesi si metterà a punto la possibilità di estendere questa possibilità anche ai farmaci per il diabete e per la BPCO».
Presso il ministero della Salute, su indirizzo del ministro Roberto Speranza e in sua presenza - spiega infatti il comunicato Fimmg - si è tenuto un incontro con il direttore dell’AIFA Magrini sulle strategie e le possibili evoluzioni, proprio partendo dall'azione sui NAO ed è stata registrata la disponibilità del direttore Magrini ad un tavolo che rapidamente affronti i temi organizzativi e di appropriatezza per determinare con la massima efficacia e efficienza quest'evoluzione della prescrivibilità che Scotti definisce una «condizione oggi particolarmente significativa per affrontare in maniera risolutiva temi come le liste d’attesa della specialistica e il coordinamento assistenziale tra la medicina di famiglia e la specialistica ambulatoriale e ospedaliera».
Ma FIMMG ha chiesto anche garanzie sull'attivazione di procedure che portino finalmente la diagnostica nello studio del medico di famiglia. «Particolarmente utile in questo momento per la prescrizione dei NAO - sottolinea Scotti - sarebbe la possibilità di effettuazione di ECG e se necessario la possibilità di coordinarsi con gli specialisti nei casi dubbi. La Conferenza delle Regioni deve liberare il proprio parere sugli indirizzi proposti dal ministero della Salute sull’utilizzo degli ormai famosi “sulla carta”, 235 milioni di euro dell’ultima Legge di Bilancio. Con il ministro e con il direttore di AIFA si è condiviso che ci debba essere un forte investimento sulla formazione e informazione all’uso dei farmaci introdotti nella prescrivibilità del medico di famiglia, cercando di creare in accordo con AGENAS e come si era già trovato intesa con il dottor Mantoan, anche meccanismi di velocizzazione e premialità in punteggio ECM per i corsi connessi a queste tematiche prescrittive, così come fatto con i corsi per il Covid-19».
Le evidenze parlano chiaro: gli asintomatici possono trasmettere il virus anche per un periodo maggiore di 14 giorni e hanno una carica virale simile a quella dei sintomatici. A rimarcarlo – confermando che gli asintomatici trasmettono il virus e sono almeno il 40-45% delle persone infette – è la Fondazione Gimbe, che prosegue il proprio monitoraggio sulla pandemia, commentando in un comunicato le “spiazzanti dichiarazioni dell’Oms, in parte rettificate, sul rischio di contagio da persone asintomatiche”.
«Ancora una volta – afferma il Presidente Nino Cartabellotta – è l’ipse dixit a condizionare l’informazione pubblica sul coronavirus. Questa volta non da parte di opinion leader nazionali, ma di una rappresentante della massima autorità sanitaria internazionale. E in questa fase molto delicata della pandemia, sarebbe opportuno conoscere i risultati della ricerca già disponibili, prima di lanciarsi in dichiarazioni tanto ardite quanto pericolose, rischiando di condizionare le politiche sanitarie dell’intero pianeta».
A questo provvede la nota Gimbe che riassume le conclusioni della revisione pubblicata il 3 giugno negli Annals of Internal Medicine, che sintetizza le migliori evidenze disponibili sull'infezione asintomatica da SARS-CoV-2. Dall’analisi dei dati di 16 coorti, tra cui quella italiana di Vo’- spiega Gimbe - emergono le seguenti conclusioni:
Diversi studi, tra cui uno condotto in Lombardia - sottolinea il comunicato - dimostrano che soggetti asintomatici e sintomatici hanno una carica virale simile che non coincide con la trasmissibilità del virus, ancora non adeguatamente studiata. L'assenza di sintomi non equivale ad assenza di lesioni: infatti, nelle 2 coorti che hanno sottoposto alla TAC i soggetti inclusi (Diamond Princess, Corea del Sud), sono state rilevate negli asintomatici anomalie polmonari subcliniche di incerto significato che richiedono ulteriori studi.
«Le evidenze ad oggi disponibili - conclude Cartabellotta - dimostrano che la prevalenza dei soggetti asintomatici è un fattore rilevante nella diffusione del contagio da Sars-Cov-2. Di conseguenza in questa fase della pandemia le misure di sanità pubblica devono essere orientate sia a identificare, tracciare e isolare i soggetti asintomatici, sia a fare rispettare il distanziamento sociale e utilizzare la mascherina quando non è possibile mantenere la distanza di sicurezza».
Giocare d'anticipo sul vaccino antinfluenzale pe evitare di mandare in quarantena chi ha solo un malanno di stagione. L'invito viene dai medici di famiglia che - come gli altri esperti - hamno sollecitato dalla Salute l'avvio di una campagna antinlenzale mirata a sensibilizzare i pazienti e ad evitare "confusioni" simili a quelle registrate nelle prime settimane dell'epidemia Covid-19.
«Con largo anticipo, già dal mese di febbraio abbiamo chiesto che la vaccinazione antinfluenzale quest'anno venisse estesa, possibilmente gratuitamente, ad un maggior numero possibile di persone. La nostra richiesta è motivata dal fatto che abbiamo fondati timori che durante il prossimo autunno/inverno si possano ripresentare focolai di Covid-19, che sicuramente si andranno a sommare all’influenza stagionale, in arrivo normalmente intorno alla metà di ottobre. E presentandosi i due virus con sintomi praticamente uguali, c'è il rischio che si possa creare la stessa confusione che probabilmente ha determinato un mancato riconoscimento dei casi di Covid tra la fine di febbraio e l'inizio di marzo», ha infatti spiegato il presidente della Società Italiana di Medicina Generale, Claudio Cricelli, all’Agenzia Dire.
«Noi medici non siamo ovviamente tenuti a stabilire se un vaccino debba diventare obbligatorio - ha poi proseguito Cricelli, commentando i contenuti della recente circolare della Salute che raccomanda e rende gratuito il vaccino per i bimbi da mesi a 6 anni e per gli over - ma abbiamo sostenuto una obbligatorietà morale nei confronti del personale sanitario: riteniamo infatti che i medici debbano avere un comportamento etico, quindi vaccinarsi, perché sono a contatto con tante persone e possono diffondere il virus influenzale».
Cricelli si dice comunque convinto che quest’anno ci sarà un aumento di responsabilità da parte dei cittadini: «Le persone hanno prima di tutto capito che l’influenza è una finta malattia benigna: è vero che la mortalità per influenza è notevolmente inferiore a quella del Covid-19, ma è anche vero che si porta dietro uno 'strascico' di 8 milioni di persone ammalate ogni anno e piu' o meno di 20 miliardi di spesa tra assenze da lavoro, acquisto di farmaci e perdita di reddito».
Ma anche la “paura” – quanto meno del rischio quarantena – dovrebbe giocare la sua parte: «Una persona che quest'inverno si ammala di influenza, in un momento in cui si dovesse ripresentare il Covid-19 porterebbe immediatamente a far scattare le misure precauzionali, poiché è molto difficile distinguere le due malattie… Una persona che presentasse febbre e tosse dovrebbe rimanere a casa in quarantena fino a quando non ha fatto il tampone. Per cui al danno si aggiungerebbe la beffa di non essersi vaccinati e di doversi poi sottoporre a delle procedure come se si fosse malati realmente di Covid-19».
L’appello della Simg resta dunque quello di «anticipare le vaccinazioni almeno a settembre» perché ci vorrà più tempo per eseguirle. Colpa del distanziamento e delle precauzioni imposte dal coronavirus: «Servono tempi, distanze di sicurezza e studi medici igienizzati - ha concluso Cricelli . - Un medico di famiglia durante una sessione invernale esegue fino a 350/400 vaccinazioni, anche abbastanza rapidamente, dalla prossima stagione ci vorrà di più».