Considerando il 1955 come data di sviluppo dei nuovi farmaci nel secondo dopoguerra, con i primi 20 anni di brevetto arriviamo al 1975, anno in cui in diversi Paesi, prevalentemente in Inghilterra e Germania, nacquero delle aziende per produrre e commercializzare farmaci generici sulla base di quelli in scadenza.
Nel nostro Paese il brevetto sui farmaci fu introdotto solo nel 1978 ed è solo una decina di anni dopo che cominciarono ad affacciarsi sul mercato nazionale le aziende che avevano già introdotto i generici negli altri mercati europei.
La legge che ha disciplinato per la prima volta la commercializzazione dei famaci generici nel nostro Paese è la n. 425 del 1996. La normativa li definisce come di medicinali prodotti a livello industriale a base di uno o più principi attivi, non protetto da brevetto o da Certificato Complementare di Protezione (CCP), identificato dalla Denominazione Comune Internazionale (DCI) del principio attivo o, in mancanza di questa, dalla Denominazione Scientifica del Medicinale, seguita dal nome del titolare AIC. Il farmaco deve essere bioequivalente rispetto ad una specialità già autorizzata, con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche. Gli studi clinici non sono richiesti perché sono informazioni già conosciute, in quanto fornite dal richiedente la prima AIC per quella sostanza attiva, per cui l’efficacia, la sicurezza e la qualità sono comunque tutelate. La legge stabilisce anche che le case farmaceutiche possono mettere in commercio, alla fine del periodo di protezione del brevetto, farmaci cosiddetti ´generici' che abbiano un prezzo inferiore (per legge) almeno del 20% rispetto alla specialità corrispondente.
Il medicinale generico ha fatto il suo ingresso nel framework regolatorio europeo con la Direttiva 2001/83/CE del Parlamento e del Consiglio, recepito in Italia dal Decreto Legislativo 219 del 2006 che all’articolo 10 comma 5 lettera b definisce come medicinale generico: “un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità".
Il termine “medicinale generico” è la traduzione italiana della definizione “generic medicinal product”, riportata in quella Direttiva. La traduzione letterale italiana è risultata però decisamente fuorviante: il termine “generico” è stato subito interpretato come identificativo di un prodotto di qualità inferiore rispetto ai medicinali di marca.
Per sottolineare che i medicinali “generici” sono “equivalenti” a tutti gli effetti al medicinale di riferimento, con la Legge 149 del 26 luglio 2005 la denominazione di “medicinale generico” è stata di fatto sostituita con quella di “medicinale equivalente”.
Fino al 2005 gli equivalenti hanno incontrato gradi difficoltà che si sono via via alleggerite soprattutto grazie alla scadenza dei brevetti di farmaci appartenenti a classi importanti come cardiovascolari, gastrointestinali, antibiotici.
Una volta immessi sul mercato, hanno contribuito ad abbassare i prezzi, anche in modo importante: appena compare nelle liste di trasparenza, il farmaco generico crea un risparmio almeno del 50 e questo ha spinto il SSN a incentivarne l’uso.
A disciplinare in maniera più specifica la rimborsabilità del generico è la Legge Finanziaria del 2001 (L. n.388 del 23.12.2000) che prevede che i medicinali equivalenti siano rimborsati fino a concorrenza del prezzo medio ponderato dei medicinali aventi prezzo non superiore a quello massimo attribuibile al generico. Se il medico prescrive un medicinale con un prezzo maggiore rispetto all’alternativa più economica, la differenza di prezzo è coperta dal paziente.
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