Gli studi di bioequivalenza sono, in sostanza, degli studi di farmacocinetica (dal greco kinesis, movimento, e pharmacon, medicinale) la cui finalità è quella di confrontare la biodisponibilità di due prodotti, ove per biodisponibilità si intende la quantità di medicinale che passa nella circolazione generale dopo somministrazione, in relazione alla velocità con cui questo avviene.
La bioequivalenza tra due medicinali è, in sintesi, la dimostrazione dell’equivalenza terapeutica tra due formulazioni, essenzialmente simili, contenenti lo stesso principio attivo.
Due medicinali sono bioequivalenti quando, con la stessa dose, i loro profili di concentrazione nel sangue rispetto al tempo sono così simili che è improbabile che essi possano produrre differenze rilevanti negli effetti di efficacia e sicurezza.
In pratica, il concetto di medicinale equivalente si basa sull'assunto che, in uno stesso soggetto, la variabilità dell’andamento temporale della concentrazione plasmatica di sostanza attiva non superi un certo intervallo di variabilità ritenuta compatibile con l’equivalenza terapeutica; questo comporta una equivalente concentrazione di sostanza attiva nel sito di azione e, pertanto, un effetto terapeutico equivalente.
Per poter autorizzare un medicinale equivalente si deve pertanto dimostrare un’adeguata qualità del medicinale e la sua bioequivalenza rispetto al medicinale originatore.