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Chi risiede nelle aree più svantaggiate ha un consumo maggiore di farmaci, probabilmente a causa del peggior stato di salute e di uno stile di vita non corretto. Ciò vale per tutte le principali malattie croniche. Ma la presa in carico non si modifica al variare del livello di deprivazione.

Il dato emerge dal primo “Atlante delle disuguaglianze sociali nell’uso dei farmaci per la cura delle principali malattie croniche” presentato oggi a Roma dall’AIFA.

«L’obiettivo di questa nuova pubblicazione, che arricchisce la costellazione dei Rapporti OsMed, è stato valutare come nell'ambito di un sistema universalistico, come il Servizio Sanitario Nazionale, l’accesso al farmaco per le principali malattie croniche sia correlato ad alcuni fattori socio-economici come l’istruzione, l’occupazione, la composizione del nucleo familiare, la densità e la condizione», ha spiegato il direttore generale, Nicola Magrini.

«L’Atlante – ha aggiunto Francesco Trotta, dirigente del Settore HTA ed economia del farmaco – è il punto di partenza di un progetto ambizioso, condiviso con alcuni dei principali gruppi di ricerca italiani. Questa rete è adesso a disposizione per ulteriori analisi che possono informare le politiche nazionali o locali riguardo alla riduzione o alla mitigazione delle disuguaglianze».

Nella popolazione adulta sono stati analizzati i dati di prescrizione farmaceutica territoriale a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) di farmaci per ipertensione, dislipidemie, ipotiroidismo, ipertiroidismo, depressione, demenza, morbo di Parkinson, osteoporosi, ipertrofia prostatica benigna, iperuricemia e gotta, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).

Nella popolazione pediatrica sono stati analizzati invece i dati di prescrizione di farmaci utilizzati per asma, epilessia e disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD).

Di seguito gli highlights dell’Atlante realizzato con coordinamento di Francesco Trotta, Aurora Di Filippo, Serena Perna, Silvia Miriam Cammarata, Giuseppe Traversa con la collaborazione di rappresentanti del Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, ASL Roma 1, dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia-Romagna, del Servizio Sovrazonale di Epidemiologia della ASL TO3 del Piemonte e dell’ISS.

Consumi nella popolazione adulta

• In termini assoluti le categorie terapeutiche con i maggiori tassi di consumo sono quelle degli antipertensivi e degli ipolipemizzanti, seguite da quelle dei farmaci per l’ipertrofia prostatica benigna negli uomini e degli antidepressivi nelle donne.

• Mediamente, in tutte le province italiane, per gli uomini si registrano livelli di consumo di farmaco più alti per la maggior parte delle categorie terapeutiche analizzate, a eccezione dei farmaci antidepressivi, degli antiosteoporotici e dei farmaci per il trattamento delle patologie tiroidee (iper- e ipotiroidismo), per le quali il consumo è nettamente maggiore tra le donne rispetto agli uomini.

• A livello geografico si osservano livelli di consumo complessivamente più alti al Sud e nelle Isole per la maggior parte delle categorie terapeutiche. Un trend inverso, con consumi maggiori nelle aree del Nord e minori al Sud, viene invece osservato per i farmaci antidepressivi. • Per i farmaci antidemenza, il tasso di consumo è più alto nelle province del Centro Italia.

• Il tasso di consumo di farmaci si conferma una valida misura di identificazione della malattia (il consumo è usato come proxy della patologia) dal momento che per quasi tutte le condizioni cliniche in studio la distribuzione geografica e per genere osservata riflette l’epidemiologia già nota delle malattie.

• I risultati suggeriscono che la posizione socioeconomica sia fortemente correlata con l’uso dei farmaci e che il consumo dei farmaci sia più elevato tra i soggetti residenti nelle aree più svantaggiate, probabilmente a causa del peggior stato di salute di questi soggetti, che potrebbe essere associato a uno stile di vita non corretto.

Consumi nella popolazione pediatrica

• Tra le categorie terapeutiche analizzate, si osserva un consumo più elevato in quella dei farmaci respiratori, in misura maggiore nei maschi rispetto alle femmine, seguita dalla categoria dei farmaci antiepilettici e per la cura del disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività.

Aderenza e persistenza

• I livelli medi di aderenza e persistenza al trattamento farmacologico calcolati a livello nazionale sono in generale poco soddisfacenti, anche se per entrambi gli indicatori si osserva un gradiente decrescente Nord-Sud. In generale, le donne sono meno aderenti rispetto agli uomini per tutte le categorie terapeutiche analizzate, ad eccezione dei farmaci antiosteoporotici.

• A livello nazionale si rileva che l’aderenza e la persistenza sono maggiori nelle aree meno deprivate, tuttavia nella maggior parte dei casi l’interpretazione dell’andamento è resa difficile dalla notevole variabilità tra regioni. Per quanto riguarda l’aderenza le categorie terapeutiche con una percentuale maggiore di soggetti aventi alta aderenza sono gli antiosteoporotici, sia per gli uomini che per le donne, con livelli pari a circa il 70%, e i farmaci per l’ipertrofia prostatica benigna per gli uomini (circa 62%). Livelli estremamente bassi (anche inferiori al 25%) si registrano per i farmaci per l’ipotiroidismo (19,1% per gli uomini e 11,4% per le donne) e per il morbo di Parkinson (22,9% per gli uomini e 18,3% per le donne).

• In generale, le donne sono meno aderenti rispetto agli uomini per tutte le categorie terapeutiche analizzate, a eccezione dei farmaci antiosteoporotici. • Relativamente alla persistenza, la percentuale di soggetti ancora in trattamento farmacologico a 12 mesi dall’inizio della terapia supera il 50% solo nel caso dei farmaci antipertensivi, ipolipemizzanti e antidemenza negli uomini, e nel caso dei farmaci antidemenza e antiosteoporotici nelle donne.

• Anche per questo indicatore per le donne si osserva una minore persistenza al trattamento rispetto agli uomini.

• Rimuovendo l’effetto della deprivazione, i livelli di aderenza e persistenza non si modificano. Tale risultato potrebbe suggerire che le differenze rilevate a livello nazionale tra le aree geografiche derivino dai diversi sistemi sanitari regionali e non siano influenzate dai livelli di deprivazione socioeconomici, facendo supporre che, una volta che il paziente abbia avuto accesso alla cura farmaceutica, la presa in carico non si modifichi al variare del livello di deprivazione.

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Foto da Pixabay