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In media una diagnosi di diabete all’età di 40 anni riduce l’aspettativa di vita di circa 6 anni negli uomini e di circa 7 anni nelle donne e che la metà di questa riduzione sia imputabile alle malattie cardiovascolari. Il dato emerge dal Rapporto del 12th Italian Diabetes Barometer Forum presentato da Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) Foundation, Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Health City Institute, I-Com Istituto per la competitività, Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni italiane e Intergruppo Parlamentare “Qualità di vita nelle città”.

Nel mondo, secondo i dati dell’iniziativa “Global Burden of Disease” della World Health Organization (WHO), nel 2017, l’iperglicemia è stata responsabile di 6,53 milioni di decessi, passando, tra le cause di morte, dal sesto posto di dieci anni fa al terzo posto fra gli uomini e al secondo fra le donne, con un aumento di circa il 27 per cento dei casi. Questa tendenza negativa è evidente anche per quanto riguarda gli anni di vita persi ponderati per disabilità, che sono aumentati del 25,5 per cento rispetto al 2007, superando così i 170 milioni. Inoltre, la prima causa di morte a livello mondiale, per entrambi i sessi, è l’ipertensione arteriosa e la quarta fra gli uomini e terza fra le donne l’eccesso ponderale, due condizioni spesso presenti nella maggioranza delle persone con diabete.

Il 53 per cento dei decessi associati a iperglicemia è dovuto a cause cardio-cerebrovascolari, in particolare 2,27 milioni di morti per malattie cardiache ischemiche e 1,19 milioni per ictus; si stima che ogni minuto nel mondo muoiano 6-7 persone per malattie cardiovascolari legate al diabete.

In Italia, secondo i dati Istat del 2017, a fronte di una prevalenza media di malattie cardiologiche tra gli over 45 del 7,5 per cento, quella tra persone con diabete è pari a circa il 17,1 per cento, ben oltre il doppio di quella rilevata per i non diabetici: 6,4 per cento. “Si tratta di un problema che interessa soprattutto gli anziani, quindi destinato a crescere in termini assoluti con l’invecchiamento della popolazione”, sottolinea Roberta Crialesi, Dirigente del Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia di ISTAT. “Anche altri aspetti legati alle diverse realtà territoriali, al grado di istruzione e più in generale alla connotazione sociale della popolazione, influenzano la prevalenza di diabete e malattie cardiache. Le regioni del Mezzogiorno sono quelle più svantaggiate, come Calabria, Molise e Umbria e il problema è maggiormente diffuso tra le persone con basso livello di istruzione rispetto ai più istruiti. Queste analisi restituiscono un’immagine nitida dei legami tra invecchiamento della popolazione, condizioni sociali e condizioni di salute e ribadiscono la necessità di interventi urgenti e diffusi”, aggiunge.

“La percezione da parte delle persone con diabete del proprio rischio cardiovascolare sembra essere migliore in Italia rispetto al campione complessivo, dove il 46 per cento dei partecipanti si considera a rischio moderato/alto, contro il 36 per cento a livello globale. Tuttavia, la percezione del proprio rischio non sembra essere commisurata alla effettiva presenza di fattori di rischio, che è risultata estremamente più elevata”, spiega Antonio Nicolucci, Direttore CORESEARCH. “Per esempio, il 73 per cento dei partecipanti riferisce livelli elevati di glicemia, il 58 per cento una durata del diabete di oltre 5 anni, il 56 per cento dichiara di essere fisicamente inattivo, il 56 per cento di essere in sovrappeso o obeso. Questi dati suggeriscono che le persone con diabete non conoscono appieno i fattori di rischio e tendono a sottostimare la propria suscettibilità ad andare incontro a complicanze cardiovascolari. A questo riguardo risulta fondamentale inserire l’educazione sui fattori di rischio cardiovascolari come parte integrante dell’assistenza alle persone con diabete”, conclude.