Possiamo senz’altro considerare chiusa la fase uno della digital transformation, anche se si tratta di una fase “inevasa”: il fischio finale non lo hanno dato il mercato, gli utenti o le aziende, bensì la pandemia, che ha altresì determinato una esigenza di accelerazione fortissima, alla quale si sta rispondendo con una sorta di rincorsa.

Stiamo vivendo di fatto una fase storica irripetibile: le direttrici della trasformazione digitale sono già in moto nelle aziende e nelle istituzioni e in questa seconda fase sarà molto importante lavorare in modo agile, scartando le cose che già in precedenza non hanno funzionato.

Il primo vero problema è mettere a fuoco il fenomeno nella sua dimensione corretta: ci siamo lasciati alle spalle il tema del "SE"; dobbiamo porci il tema del "COME".

E abbiamo una traccia da seguire:

  • Dobbiamo mantenere il focus su persone, processi, esperienze, contenuti e solo poi sulle tecnologie;
  • Dobbiamo aver chiaro cosa vogliamo fare e analizzare tutte le cause che in precedenza hanno determinato il fallimento di tentativi analoghi, capitalizzando gli errori altrui;
  • Ancor prima di decidere cosa fare, dobbiamo basarci sui bisogni dell’utilizzatore finale – dunque il paziente – che deve restare il faro della nostra azione.
  • Focus dunque sullapatient/user centricity.

La digital transformation - come sappiamo - riguarda tutti i processi aziendali. Quando la digital transformation investe direttamente il business nel settore e dal mix tra interventi software in abbinamento o meno ad un farmaco deriva un beneficio clinico dimostrato per gli utilizzatori otteniamo le digital therapeutics, realtà in vertiginosa evoluzione.

L’innovazione disruptive nel mondo del trattamento delle patologie umane arriverà probabilmente soprattutto dall’ecosistema delle startup: compito delle grandi aziende sarà quello avviare con esse partnership win-win, secondo modelli che iniziano ad essere consolidati. Il valore è lavorare insieme nello sviluppo di percorsi che portino queste intuizioni ad un livello di mercato.Questo tipo di percorso sarà vitale nell’innovazione radicale legata alle digitalmedicines e alla digitaltherapeutics.

Altrettanto vitale sarà la dimostrazione del loro valore: per questo bisogna puntare sull’integrazione dei dati emergenti dall’utilizzo e dal comportamento reale delle persone. Questo è dunque il momento per investire nella generazione e classificazione dei dati, ancora poco sfruttati. Capire il valore dei dati è una delle chiavi del successo in questa sfida: il futuro è tutto basato sulla quantizzazione dei nostri comportamenti, in risposta a degli interventi terapeutici, patrimonio di conoscenze che saranno indispensabili in un contesto di negoziazione del valore.

Cruciale tra l’altro, in quest’ottica, individuare le piattaforme di digita lhealth più idonee ad effettuare la mappatura dei dati emergenti lungo il percorso dei PDTA.

L’esperienza innovativa da cui trarre ispirazione è quella della Germania, dove una norma decisamente innovativa passata un po’ sottotraccia disciplina l’inserimento sul mercato, la raccolta dei dati e quindi la successiva conferma o meno dello status del prodotto proprio in base alla dimostrazione del valore basato sui dati raccolti nel corso di un anno.

Lo scenario è in piena evoluzione in evoluzione e oggi il momento di investire con decisione per essere pronti (magari con delle soluzioni e idealmente anche con dei dati) per quando arriverà il momento della possibile immissione sul mercato che certamente sarà guidata dall’evidenza basata sui dati.

È probabile che entro breve tempo non esisterà più un farmaco chimico che non sia in qualche modo inserito in una esperienza digitale o in una piattaforma connessa con qualche App, o che funzioni in modo tale da generare dati: l’esperienza del paziente rappresenterà un fattore di preferenza, poi di valore e successivamente diventerà un requisito normativo per poter accedere alla rimborsabilità e alla classificazione.